Quando ho adottato Kuma, il primo cane che ho scelto e la mia prima compagna di vita, non è stato tutto facile. È arrivata in famiglia che aveva poco più di due mesi e io vivevo con la mia famiglia di origine. Avevo promesso di prendermene cura e che non sarebbe stata un peso per gli altri componenti della famiglia.
Il suo arrivo è stato una gioia immensa ma anche motivo di molti scontri.
Come tutti i cuccioli non aveva ancora chiaro che è meglio fare pipì fuori casa e io ero ancora inesperta per gestire al meglio la sua educazione. Chiesi il contatto di un educatore cinofilo ma in quel periodo non c’era nessuno nella mia zona che avesse un approccio relazionale e sul web si trovavano solo consigli coercitivi. Erano proprio i metodi coercitivi che avevano creato una profonda crisi in me in quel momento. Le persone che avevo attorno sgridavano Kuma quando faceva pipì in casa con grandi rimproveri senza risparmiare sculaccioni e castighi.
Negli occhi di Kuma terrorizzata rivedevo i miei occhi di bambina. Non accettavo che anche lei vivesse le stesse paure, non accettavo le mancasse la possibilità di essere compresa, accolta e ascoltata. Iniziai così il mio percorso come educatrice cinofila, senza saperlo mi stava accompagnando nel mio percorso per dare spazio alla me bambina.
In tanti mi chiedono ora come esperta “Come posso insegnare al mio cane a smettere di fare pipì in casa?”. Parto sempre con l’idea di elencare una serie di istruzioni ma poi mi rendo conto di come questo tema porti sempre a dover mettere in discussione il proprio modello educativo. La grande necessità è quella di spostarsi dal voler plasmare, al voler ascoltare e dare spazio ai bisogni del cane che abbiamo davanti.
Come io ho dovuto mettere in discussione il metodo educativo della mia famiglia così anche i miei clienti si sono trovati a dover fare i conti con la propria storia, le proprie convinzioni.
Se con un cucciolo la richiesta di aiuto mi viene per lo più posta con toni comprensivi (è un cucciolo per cui ha bisogno di tempo per imparare) quando succede con un cane adulto i toni si fanno esasperati e le frasi tipiche per descrivere l’accaduto sono ad esempio “il cane mi fa i dispetti”, “il cane vuole fare quello che vuole” oppure “lo fa apposta quando torno a casa”. Ancor peggio se la pipì viene fatta su letti e divani, pare una sfida aperta, un invito al duello da parte dell’animale. Questo modo di vedere la situazione spesso porta ad un peggioramento della situazione.
Siamo abituati a vedere la marcatura di urina come un modo dell’animale per segnare il suo territorio, inteso come proprietà e indice di possessività dimenticando che un individuo sereno, forte ed equilibrato, non ha bisogno di ripetere costantemente qual è il suo spazio e un cane che mostra fragilità se viene rimproverato può solo che aumentare la sua insicurezza.
I cani adulti che ho incontrato che facevano pipì in casa avevano i motivi più diversi per farla ed erano diverse le storie che volevano mostrare ai loro compagni umani ma tutti avevano un denominatore comune. Una sorta di “io esisto, tu esisti”.
La pipì del cane fatta in casa quando ormai sa benissimo che preferiamo venga fatta fuori spesso coincide ad un momento biografico particolare della persona in cui si è messa da parte nelle sue necessità. E così succede che Red fa pipì sul tappeto in sala quando i genitori della sua persona non accettano lo stile di vita del figlio, Winnie fa pipì sulla porta della terrazza quando il suo compagno umano preso dal dolore di un lutto non ha la forza di affrontare la giornata e Giove fa pipì sul divano quando la ragazza con cui vive accetta che il suo ragazzo si rifiuti di convivere con lei.
Serve segnare il territorio quando il territorio viene a mancare, un territorio fisico ma anche emotivo e spirituale. Il cucciolo come l’adulto attraverso l’urina lasciata in spazi che hanno un particolare significato richiedono l’ascolto profondo delle necessità interiori di ogni individuo ma soprattutto che queste necessità trovino il loro spazio, il loro territorio.